il giardino di enzo

E' grande, pieno di vita, fiori, alberi, animali, uomini, donne

un luogo vario

domenica 31 ottobre 2010

amore e rivoluzione



Amore

“Non mi dire più niente, ti prego” fece lei a un tratto. “Stringimi forte forte. Anzi facciamo all’amore.”
“Si, certo, andiamo subito a casa.”
“No, niente casa.”
“Ma, come?”
”Qui.”
“Subito?”
“Subito.”
“In pieno giorno?”
“In pieno giorno.”
”Non hai vergogna?”
”No. Non ho vergogna perché fare all’amore non è vergogna. Vergogna è trucidare gli innocenti, come hanno fatto quelle facce di merda dei tedeschi.”
Ci pensai un poco, poi conclusi che Giuditta aveva sacrosanta ragione. E sono rimasto del suo parere anche oggi. Anche oggi io sostengo che fare all’amore non è vergogna. Non è vergogna. Vergogna è uccidere, vergogna è sudare, vergogna è morire di fame e chiudere la gente in prigione, o al manicomio. Vergogna è condannare. Vergogna è giudicare. Vergogna è comandare. Fu per questi motivi, e in questo modo che Giuditta e io, quel fatidico ventitré marzo del cinquantanove, mentre cominciavano a uscire i proclami del governo provvisorio e ad affiggersi su per le cantonate, ci congiungemmo carnalmente sull’erba del parco di Milano, alle dodici e un quarto antimeridiane.


Rivoluzione
[…] Il secondo sbaglio fu di natura filosofica: quello di credere che alla rivoluzione debbano necessariamente seguire nuove istituzioni di governo: Credere che la rivoluzione possa e debba dare luogo a un ordine nuovo, e così resistere. La rivoluzione, se vuol resistere, deve restare rivoluzione. Se diventa governo è già fallita. Se chiama i cittadini alle urne perché eleggano i loro capi, addio. Non è la prima volta che succede, nella storia del mondo, e neanche sarà l’ultima: dovunque la rivoluzione ha cessato di essere permanente, là è ritornata la tirannia. E non è neanche vero che la rivoluzione (e quella milanese del cinquantanove più delle altre) voglia dire il caos. Questo lo dicono e lo ripetono di continuo gli amanti dell’ordine, vale a dire i tiranni […]

Il terzo sbaglio fu di natura non più politica, non più filosofica, ma diciamo pure tattica. E cioè si commise un grosso errore nella scelta degli obbiettivi. Voi rammentate che cosa vollero occupare e tenere, gli insorti: il Broletto, il Palazzo del Governo, quello del Genio, le caserme intestate ai santi, il Castello, l’Università. […]
L’errore principale determinato dall’infantilismo tattico è appunto questo della cattiva scelta degli obbiettivi primari: municipi, palazzi governativi, uffici del catasto, chiese, caselli del dazio, università. Tutti obbiettivi puramente simbolici. Un rivoluzionario adulto occupa innanzitutto (qui faccio l’esempio milanese, che meglio mi calza) occupa dunque la Handelsbank, la Kreditbank, persino la Volksbank, quella che oggi sorge al posto dell’antico Palazzo del Genio.


Nel marzo del 1959 successero a Milano parecchie cose, ma non vi fu alcuna insurrezione armata di popolo. I giornali dell’epoca me ne danno conferma. Ciò vuol dire che i fatti raccontati in questo libro sono un’invenzione.
Purtroppo sì.
L’AUTORE

Da “Aprire il fuoco”, Luciano Bianciardi 1969 - Rizzoli

giovedì 28 ottobre 2010

amicizia e libertà


Max è abbastanza diligente, non ha ancora escogitato vie di fuga alternative.
Dopo studi e approfondimenti, le sue uscite rimangono due:
1) cancellino verde, dal quale si accede al giardino anteriore e passo pedonale di tutti gli abitanti;
2) cancellino bianco, attraverso cui si accede al retro, camionabile piccolo.

Il lesto quadrupede si limita ad approfittare del momento topico, quando qualcuno entra o esce, sfilando probabilmente accanto alle gambe del transeunte, e riacquistando la vagabonda libertà. Raramente, ma accade; era nel conto.
Il giro dei suoi locali preferiti è sempre il solito: pasticcerie, rosticcerie, panetterie e altre erìe che non sto qua ad elencare, oltre all'immancabile passata davanti al palazzo comunale, forse per accertarsi della solidità del Sindaco e della maggioranza.

Ovviamente sto monitorando la cosa, e posso affermare che tutti sono molto attenti alla chiusura dei passaggi.

Ad esempio, i Muratori Restauratori di Grandi Tetti Traballanti sono di una gentilezza raramente riscontrabile in questo primo scorcio di terzo millennio; con il loro camioncino arrivano al cancello bianco posteriore, tolgono il filo di ferro che chiude le due ante, aprono, passano, chiudono il cancello e risistemano il filo di ferro. La manovra si ripete due volte al giorno: la mattina quando arrivano e la sera poco prima del buio.

Gli abitanti del Giardino, molto solerti e pignoli, aprono e chiudono con grande perizia e dovizia, click-clack (ho lubrificato tutto).
Tutti meno uno.

Infatti, qualche mattina fa sono uscito di casa per andare al lavoro, albeggiava: il cancellino verde è aperto. Ho pensato che oggettivamente può succedere e risuccederà, eccazpita, non posso mica fare il guardiano del faro e spaccare gli zibidei a tutti con la storia di Max e del cancello!

La mattina successiva accade la stessa cosa.

Stamani ho atteso che uscisse il caffè e con la tazza in mano sono andato a controllare: cancello chiuso.
Rientro, mi lavo, mi vesto, saluto bipedi e quadrupedi e vado via: il cancello è aperto.

Negli ultimi due anni un bipede esce di casa prima di me, esattamente nello spazio temporale che separa il mio caffè dal mio partire per il lavoro.
E' un amico, amico di amico e quindi amico mio. Quando è capitato, abbiamo passato delle belle serate davanti a piatti fumanti e bicchieri.

Perché sottovaluta la mia piccola necessità di chiudere il cancello?
Forse che la sua ansia di prendere il bus che lo porta in città non gli permette di perdere nemmeno quel secondo necessario per il clack?

Non so dare una risposta a questo mio interrogativo.
Devo dare un'occhiata al mio senso di amicizia.

sabato 16 ottobre 2010

ricercato


Come sa chi passa di qua con una certa frequenza, Max (detto Mazzini) è solito uscire dai confini del Giardino per andare in giro per il paese.
Essendo un buongustaio la sua meta preferita è la pasticceria (una signora pasticceria), dove probabilmente racimola sempre qualcosa da mettere sotto i denti.
E' da tempo che ENPA e VV.UU. ci chiamano, molto cortesemente, per avvertirci che il "soggetto" è stato avvistato qui, là, un po' più in là, un po' più qui.
Ho sempre detto ai miei amici che, qualvolta lo incontrino in giro a bighellonare, con fare autoritario gli ordinino di tornare a casa o, se nelle possibilità, di ricondurlo al luogo natìo.
L'altra mattina Pippo, uno dei miei amici fraterni e amati, era giustappunto con la brioscia in mano, sull'uscio della pasticceria, quando vede arrivare baldanzoso il prode Mazzini.
"Max! Max" lo chiama.
Al che tre vigili urbani aggrediscono verbalmente l'amico, e a loro si aggiungono due impiegati comunali (la casa comunale fronteggia la pasticceria): "Ah, è tuo il cane!!"
"No, guardi, è di un mio amico..."
"E come si chiama l'amico tuo?!?!"
"E' un amico e basta..."
"Abbiamo avvertito la lacciaia (accalappiacani), è sempre in giro, ci sono lamentele!"
Pippo ha fatto salire il famoso rivoluzionario risorgimentale in macchina e lo ha ritornato a casa.

Secondo me è andata così:
Max, nel suo tragitto per il centro del paese, passa forzatamente davanti alla scuola elementare, dove probabilmente qualche bambino (o la sua mamma o babbo, o nonno/a o zio/a) si è lamentato con i VV.UU.
E' giusto, non ho niente da rivendicare, se un bambino ha paura o se è un igienista sfegatato è giusto che rimostri le sue rimostranze alle autorità.
I VV.UU. prima hanno cercato di farci notare che lui, il rivoluzionario, rompe gli zibidei; poi, magari a seguito di ulteriori lagnanze, hanno giustamente interessato gli addetti preposti: la lacciaia (accalappiacani).

La ricerca della soluzione:
Ho mobilitato l'amico fabbro per ripristinare un cancelletto che chiude il retro, ho appeso uno struggente cartello al cancello principale con preghiera di tenerlo sempre chiuso.
E il brutto è che lui, Mazzini, riesce ad uscire comunque, ci sono almeno altri tre luoghi potenzialmente adatti all'escursione, passaggi più o meno segreti che devo individuare, e di questo mi farò carico domattina (domenica); fino a che non riuscirò ad impedire le allegre scampagnate, i quadrupedi staranno in casa, come se abitassimo in città, in un palazzo.
Stamani, per premiarli e per godermi, siamo andati in escursione sul Monte Serra, una bella camminata di un paio d'ore, fra castagni, ginepri ed erica, profumo di bosco, puzzo di cacciatori.

Conclusione:
Mi angoscia l'idea che a Max possa capitare una deportazione in canile, anche perché sarebbe totalmente inutile, lui tornerebbe dopo poco in giro per il paese. L'unica soluzione è riuscire ad individuare la stretta cengia dalla quale si eclissa.
Speriamo in bene.

sabato 9 ottobre 2010

giallo e rosso


Pensavo stamani al frusciare delle foglie, il suono del vento.
Lo sfregare di una foglia sull'altra, amplificato dalla moltitudine, diviene un canto, una cascata d'acqua, un ruscello.
Pensavo che le foglie con questo teso vento di terra, sarebbero cadute in fiocchi, come neve.
E invece sono poche quelle lasciano l'appiglio sicuro del ramo, sfinite, esauste di tanto sforzo.
Forse sono le prime, quelle spuntate ad aprile, ad arrivare a terra, già quasi completamente secche, il giallo che ormai lascia sempre più spazio al marrone, in una decomposizione inarrestabile.
Ho pensato di lasciare solo il suono del vento e di aggiungere in coda una poesia di un poeta a me caro, Nazim Hikmet, di cui la mia preferita è questa.

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